Ari Jonsson, uno studente di design islandese, ha ideato un materiale biodegradabile che si decompone una volta svuotato dell’acqua che conteneva.
Entrando in un supermercato, i colori che ci colpiscono maggiormente ormai non sono solo quelli della frutta e della verdura, ma soprattutto quelli delle confezioni coloratissime e dal design accattivante delle migliaia di prodotti che quotidianamente affollano gli scaffali. Confezioni che di anno in anno si fanno sempre più piccole e che contengono sempre più spesso anche alimenti che potremmo comodamente acquistare sfusi. E sempre più spesso queste confezioni sono di plastica. Un circolo vizioso che ci sta portando a far circolare sempre più rifiuti.
La plastica, per quanto rappresenti una soluzione comodissima, è anche una delle piaghe maggiori della nostra società dedita al consumo. Ognuno di noi, mentre fa la raccolta differenziata dei rifiuti, sicuramente avrà potuto notare quanto sia impattante la plastica. Mentre la carta e il cartone, se non vengono prima usati nella stufa di casa, ritrovano comunque una nuova vita nella carta riciclata, il riutilizzo della plastica è molto più complesso. La pastica viene proviene da una lunga catena produttiva, necessita dell’estrazione del petrolio, dell’industria petrolifera e chimica e di una lunga filiera logistica. La vita di un imballaggio di plastica è pero molto breve.
Pensiamo soprattutto a quanta plastica buttiamo senza mai riutilizzarla. Per rendere meno impattante questo problema potrebbe essere d’aiuto una migliore rete di negozi con prodotti sfusi, in cui riutilizzare più spesso flaconi del detersivo e contenitori vari. Notevole, nei nostri rifuiuti, è il numero delle bottiglie dell’acqua, che affrontano un lungo percorso logistico (spesso inutile, laddove l’acqua è potabile), per poi essere buttate poche ore dopo l’acquisto. E spesso finiscono anche nell’ambiente naturale, sulle rive dei fiumi e infine nel mare, dove costituiscono un grave pericolo per le specie animali.
Si tratta di un problema annoso, che sicuramente si fa ancora più evidente nei Paesi che non dispongono di grandi superfici per lo stoccaggio dei rifiuti. Crediamo sarà stato proprio questo uno dei fattori che ha spinto Ari Jonsson, studente di design industriale all’accademia di belle arti di Reykyavik, a cercare di immaginare per le bottiglie un materiale diverso dalla plastica, che si estinguesse dopo l’uso. Ed è così che è nato il prototipo della bottiglia di materiale biodegradabile. Infatti, non appena la bottiglia viene svuotata del suo contenuto, essa incomincia a decomporsi. Il materiale ideato da Ari è composto di polvere di agar, un polisaccaride usato come gelificante naturale e ricavato da alghe rosse appartenenti a diversi generi, molto conosciuto nell’industria alimentare. In pratica, dopo essere stata usata, questa bottiglia potrebbe anche essere mangiata. O perlomeno usata come mangime.
La bottiglia da lui ideata ha ancora numerosi problemi: si strappa con facilità, la permanenza sugli scaffali del negozio ne comprometterebbe l’igiene nel caso volessimo davvero usarla come alimento, inoltre la decomposizione non è velocissima come potremmo auspicare. Tuttavia presenta meno problemi di smaltimento rispetto alle normali bottiglie di plastica che per decomporsi in ambiente naturale avrebbero bisogno di centinaia (!) di anni.
Quello di Ari è un progetto che non avrà ancora uno sbocco commerciale, ma sicuramente, come ribadisce egli stesso, è una direzione che per le biotecnologie ormai è realtà. I materiali derivati dalle alghe, dai funghi, dai muschi, facilmente coltivabili in condizioni artificiali, rappresentano una delle posssibili soluzioni ai problemi degli imballaggi, una componente preponderante dei rifiuti urbani.
Testo: JS