Visitare Trieste, la signora sull’Adriatico

Facciate maestose, ottimi caffè, shopping. Questo e molto altro si cela nel viavai di Trieste.

Trieste si trova all’estremo est dell’Italia, a ridosso dell’ex cortina di ferro: una posizione ideale per fare da ponte tra l’Europa occidentale e quella orientale. E bisogna ammettere che in passato ha svolto più che egregiamente questo ruolo, accogliendo gente proveniente da tutto il mondo.

Oggi Trieste non può vantarsi di essere una meta attraente per investitori e imprenditori, mentre fino al 1918 era lo sbocco verso il mondo per tutti  popoli che si trovavano riuniti sotto la bandiera dell’Impero austro-ungarico. Forse vi sorprenderà che Trieste fosse considerata la seconda città per importanza dopo Vienna.

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Sono in pochi che passeggiando tra le vie di Trieste alzano lo sgurado verso l’alto, ma vi assicuriamo che ne vale davvero la pena: sopra le vostre teste si ergono palazzi lussuosissimi, affiancati l’uno all’altro. Purtroppo le strette vie cittadine non favoriscono una buona visuale e dovrete soffermarvi un po’ per ammirare lo sfarzo degli elementi decorativi in pietra che risaltano sulle facciate pastello. Gli stili si susseguono offrendo il meglio dell’architettura mitteleuropea dal ‘700 ai primi del ‘900. Purtroppo la città non aveva e tuttora non ha spazio a sufficienza per espandersi e tutti questi palazzi strepitosi non risaltano come quelli di Vienna, seppur li superino in bellezza e eleganza.

Ma a che cosa è dovuta tale ricchezza?

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Fino al ‘700 Trieste era stata solamente una piccola cittadina di pescatori che poteva vantare un po’ di saline, qualche famiglia patrizia e una curia. Ma fu nel 1719  che tutto cambiò: Carlo VI vi istituì il porto franco, dando inizio all’ascesa della città. Vi arrivarono commercianti e aspiranti imprenditori da tutto il bacino mediterraneo, dall’est e dal nord Europa. Le vecchie famiglie patrizie un po’ tremarono per il timore di perdere la propria posizione, ma tuttavia la sete di potere e di successo fece ben presto sbiadire i loro dubbi riguardo ai nuovi arrivati.

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Il fascino del nuovo ceto borghese venne narrato da Renato Ferrari nella prima parte della sua opera Il gelso dei Fabiani, una saga familiare che si sviluppa nell’800, l’epoca aurea di Trieste, fra il Carso e la città. Le origini davvero varie dei nuovi abitanti di Trieste sono ancora oggi testimoniate dalla presenza dei loro luoghi di culto: la sinagoga, tra l’altro la più grande in questa parte d’Europa …

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… la chiesa greco-ortodossa sulle Rive e quella serbo-ortodossa sul Ponterosso, la chiesa luterana nel Borgo Teresiano, quella valdese e quella anglicana ai margini della città vecchia. E tutte queste comunità non vantano solamente dei luoghi di culto davvero ammirevoli, ma possiedono ognuna anche il proprio cimitero. Come se la gente non volesse confondersi troppo con le altre comunità nemmeno dopo la morte. Nonostante le apparenze però la borghesia non nutriva grosse remore a congiungersi in matrimono con i rappresentanti facoltosi delle altre nazionalità,come testimoniato anche dalla biografia di Italo Svevo. Sulla paura del diverso ha prevalso il pragmatismo, una caratteristica di questa città che probabilmente deriva dalla sua tradizione prevalentemente commerciale. L’intreccio di varie nazionalità è ancora ben visibile nella miriade di cognomi insoliti presenti sui citofoni e nell’elenco telefonico di Trieste: derivano da ogni parte d’Europa e sono stati in buona parte italianizzati d’ufficio negli anni ’20 del ‘900, distinguendosi vistosamente dalle forme originali. Un fenomeno molto particolare sono le tombe di famiglia più antiche: non sono rare quelle che portano incise due o tre varianti dello stesso cognome, a seconda della politica che imperversava all’epoca negli uffici anagrafici della città.

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L’ascesa di Trieste non ha attirato solamente gli imprenditori e i marinai, la città aveva bisogno anche di una miriade di operai e furono numerosi gli immigrati provenienti da tutto il territorio dell’Impero austro-ungarico, specialmente dalle regioni più vicine. Trieste è diventata un gran crogiuolo di culture e nonostante i movimenti nazionali della seconda metà del XIX e dei primi del XX secolo, la grande maggior parte degli immigrati e degli appartenti alle minoranze storiche si assimilò nel corso del ‘900, processo a cui le autorità dello Stato italiano si dedicarono con grande impegno, oltrepassando di gran lunga i limiti della legalità e della legittimità. Per fortuna c’è chi non ha lasciato che la storia inghiottisse i traumi e le ferite, descrivendole in testi letterari che negli ultimi anni hanno trovato spazio anche sui banchi delle scuole italiane. L’assimilazione coatta degli sloveni presenti tra l’altro da più di un millenio sul territorio di Trieste, è stata infatti descritta nei romanzi dello scrittore triestino ormai quasi centenario Boris Pahor. Nei suoi lavori la città si rende protagonista diventando un organismo vivente, pulsante e sofferente negli avvenimenti che portarono via i suoi abitanti trascinandoli nei vortici della storia.

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Nel ‘900 seguirono ancora diverse ondate di emigrazione e a sua volta d’immigrazione, specialmente dall’Istria e dalle altre regioni italiane. E anche queste persone si fusero con la città, apportando nuovi stili di vita e punti di vista. La dolorosa tensione degli esuli tra l’Istria e la città venne spesso ripresa da Fulvio Tomizza, capace di cogliere la sofferenza della gente comune che in seguito agli avvenimenti storici di cui suo malgrado si rese protagonista, vide svanire di lì a poco la propria cultura materiale e spezzarsi i legami con la propria storia.

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Trieste in seguito ai due conflitti mondiali si trovò completamente privata di qualsiasi entroterra, una città di mare destinata a sopravvivere ancora per alcuni decenni per merito degli acquirenti dell’Est, affamati di merce occidentale che nei fine settimana innondavano la città in cerca di jeans e scarpe da ginnastica alla moda. Dopo il crollo del muro, anche questi flussi cessarono e si rese ancora più evidente la totale mancanza di un’economia trainante.

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Ma fermiamoci ora a osservare il Canal Grande che costeggia quello che fino al 1991 fu il mercato più conosciuto nell’Est Europa – il Ponterosso. Un tempo qui il canale penetrava fin dentro la città e appunto un ponte di legno tinto di rosso collegava i due lati. Dalle navi venivano scaricate anche le dolci angurie provenienti dal sud, direttamente accanto al mercato dove venivano venduti i generi alimentari provenienti dai paraggi della città.

Ehi, e se ci fermassimo in uno dei numerosi caffè nei paraggi? Ma quale? La scelta non sarà facile, ma questo è un argomento che affronteremo la prossima volta.

Foto: Tiassha, KB